MARVELIT presenta…

 

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SCENA: interno di una caffetteria, anni ’60. Jukebox che suona Michelle dei Beatles Un’insegna al neon lampeggia erraticamente attraverso la finestra, lanciando strane ombre lungo il parcheggio. Una mosca batte ripetutamente contro la finestra. Guardandola da vicino, la mosca è in realtà un minuscolo essere umano in un costume giallo e nero con dei raccapriccianti occhi da insetto e un paio di ali da mosca.

Brusii incomprensibili vengono dal PUBBLICO, un piccolo insieme di volti ed ombre indistinti.

Ad uno dei tavoli, unico cliente del locale, siede un RAGAZZO. Capelli tagliati quasi a spazzola, occhiali a montatura larga che gridano ‘secchione’. Maglietta gialla quasi abbagliante contro la camicia bianca. Il ragazzo è magro, così esile che potresti sbatterlo giù con un dito. Il ragazzo ha l’aria pensosa mentre mangia un pezzo della sua porzione di torta di mele. Il suo volto è un riflesso distorto nel vetro del suo bicchiere di latte freddo dalla superficie appannata e gocciolante.

La porta del locale si apre con un allegro scampanellio. Entra un UOMO, sessant’anni circa, capelli grigi e folti, volto bonario. Indossa una camicia bianca e pantaloni beige, e una bella cravatta nera. Al suo ingresso, il pubblico applaude fragorosamente, coprendo il suono dei passi dell’uomo mentre si avvicina al tavolo del ragazzo.

L’uomo si siede. Il suo volto è quello di un uomo gentile, quel tipo di persona a cui si vuole bene subito.

L’uomo si siede, e appena gli applausi si spengono, dice, “Peter.”

Il ragazzo smette di mangiare. Posa la forchetta sul piatto, si pulisce la bocca con gesti brevi, accurati. Poi ripone il tovagliolo sul tavolo. “Zio Ben.”

Una cameriera si avvicina al tavolo. “Un caffè, signore?” chiede…con voce fuor di dubbio maschile.

Ben solleva la testa, e lancia uno sguardo assai perplesso alla bella donna la cui testa è quella di un uomo con un paio di baffi spioventi. La targhetta sul seno qualifica la strana apparizione come STEPHEN.

Risatine dal pubblico.

Ben fa un cenno di diniego all’offerta di caffè. Quando la cameriera si è allontanata, l’uomo scuote la testa. “So che hai un senso dell’umorismo marcato, ragazzo, ma non ti sembra di esagerare?”

Peter fa spallucce, un sorrisetto a increspargli le labbra. “Mi ha chiesto come volevo rappresentarlo, visto che deve monitorare la situazione. È sempre così serio.”

Ben sospira. “Lo deve essere, visto il suo lavoro… Peter, dobbiamo smetterla di vederci così.”

Peter aggrotta la fronte. “Cosa vuoi dire?”

“Beh, mi fa sempre piacere scambiare quattro chiacchiere con te, in occasione dell’anniversario della mia morte, ma santo cielo, figliolo, tu mi preoccupi.”

“Che vuoi dire?”

Il gesto di Ben abbraccia il locale. “Il Coffee Bean? Sul serio, nipote! Fra poco chiederai a Strange di scavare nei ricordi di Capitan America per costruirti uno scenario!”

Peter abbassa lo sguardo. “Mi piace questo posto. Ho dei bei ricordi.”

Ben si china in avanti. “Non c’è niente di male ad avere dei bei ricordi. E comunque, questo posto è meglio di quello che era rimasto del tuo appartamento dopo quella specie di attentato. Il fatto che sia un fantasma non implica che mi piacciano i luoghi morti, sai?”

Peter si rabbuia. “Ero molto affezionato a quell’appartamento. Ho diritto a ricordarlo—“ Si interrompe, quando, ad un nuovo cenno di Ben, il locale si trasforma in una replica di detto appartamento. Un piccolo bilocale, il pavimento del soggiorno disseminato di vari oggetti e incarti di pizza, una pila di piatti sporchi nel lavello e un flacone vuoto di sgrassante al limone. Every Breath You Take si diffonde nell’aria. Il Dottor Strange è ridotto ad un decoupage sulla porta della camera da letto.

“Così devi ricordarlo,” dice Ben, ora seduto all’unico tavolo al centro della stanza. “È stato bello vedere che ti eri lasciato andare un po’. Ero preoccupato che diventassi uno di quei maniaci dell’ordine, che la tua casa fosse un posto freddo. Invece ci hai vissuto.”

Peter ora assomiglia di più al giovane uomo che si era fatto le ossa all’università. Si guarda intorno. “Mi manca, questo posto.”

“Ti mancano tante cose. E ti manco io.” La mano di Ben si appoggia su quella di Peter.

“La fai suonare come una cosa brutta.”

“Se è un’ossessione, sì. Peter, io ho tutta l’eternità per dirti che la mia morte non è stata colpa tua, e tu tutte le volte finisci col pensare a me quando ti getti in una battaglia per salvare delle vite. Sai, comincio a pensare che a te del resto del mondo non te ne freghi proprio niente.”

“Zio Ben!”

“Scusa. Lo so, essere morto non mi dà il diritto di parlare in certi modi…”

“Non è quello! Come fai a dire che non m’importa niente degli altri?”

Ben sembra pensarci su. “Hai ragione. Ti chiedo scusa. A te importa molto degli altri; quando sono morti.” L’uomo approfitta della pausa stupefatta del nipote per aggiungere, “Sei l’unica persona che conosca che si sprona con la forza del lutto. Dici sempre di sentirti responsabile per qualcuno, ma non fai mai quello che devi per proteggere coloro a cui tieni fino a quando non è troppo tardi. Escludi tutti dalla tua vita, e quando qualcuno, per colpire l’Uomo Ragno, uccide le persone a cui tieni, ecco che arriva un’altra tacca sul cuore da usare come scusa per restare attaccato al costume.”

Peter si alza dal tavolo. “Non credo di volere continuare a parlarne.”

Ben non si scompone, rimane seduto dov’è. “Se ho torto, come mai non hai mai voluto dire a nessuno della tua identità segreta? Non pensi di doverlo almeno a coloro che ti sono più vicini?”

“Mary Jane e Zia May—“

“Lo hanno scoperto per caso. Forse Norman Osborn lo ha detto a Gwen, dopo avere pianificato di ucciderla. E sicuramente qualcun altro, amico o nemico che sia, lo ha scoperto, ma non grazie a te. Dici di sentirti solo, certe volte, di non farcela a sopportare il peso del costume, ma come Atlante ti carichi il mondo sulle spalle e vai avanti. Non è la speranza a darti forza, è l’autocommiserazione. È sempre lì.”

Peter torna a sedersi, quasi afflosciandosi sulla sedia. Il suo sguardo ora è carico di angoscia mentre fissa lo zio. “Zia May era terrorizzata dall’Uomo Ragno—“

“Perché appartiene ad un’altra generazione, Peter: non hai mai pensato che i soli supereroi che avesse mai conosciuto erano i nemici giurati del nazismo e del comunismo? Era un mondo diverso, fatto di buoni e di cattivi facili da identificare. Gli eroi erano quasi tutti belli, riconoscibili. L’Uomo Ragno…era troppo diverso per lei. E tu hai naturalmente pensato che se le avessi detto la verità ti avrebbe ripudiato.”

“Lei era come una madre—“

“È un feticcio.”

“Scusami?”

Ben scuote la testa. “È un feticcio, Peter. Un totem, una coperta di Linus. Tu pensi a May e pensi al tuo angolo sicuro. Hai una moglie meravigliosa, il tipo di donna pronta a stare al tuo fianco in ogni circostanza nonostante la tua doppia vita e i tuoi eccezionali nemici, hai una figlia, il tuo futuro che dipende da te… Ma quando pensi alla famiglia, pensi per prima cosa a May. È un po’ morboso, te ne rendi conto, figliolo? Noi siamo stati un po’ i tuoi genitori adottivi, ma tu hai fissato una gran bella catena intorno a noi.”

La mano di Ben punta al pavimento. Solo allora Peter si accorge della catena in questione che corre da una gamba all’altra.

“Credo che tu stia esagerando,” dice Peter, la voce gelida. “Zia May è stata la persona più speciale della mia vita. Ci siamo sostenuti a vicenda nei momenti più difficili, mi ha insegnato a tirare avanti tenendo la testa alta, e dovrei semplicemente…scartarla? Come un qualcosa di usato e ormai inutile?”

Ben scuote la testa. “Niente del genere. Se lo facessi, ti perseguiterei fino alla fine dei tuoi giorni e anche oltre. Ma non confondere il rispetto con l’ossessione.

Silenzio. Di nuovo brusii dal pubblico.

“Nessuno vive in eterno, Peter.

Seriamente, se ci tieni tanto ai tuoi cari, perché non la smetti di fare il supereroe? Appendi il costume, mettilo in naftalina, e tiralo fuori solo quando serve a te e alla tua famiglia, non al resto del mondo! Sei un bravo ragazzo, onesto e rispettoso della legge, non lo sceriffo del pianeta.”

“E dovrei ignorare quei crimini che posso sventare? Da un grande potere—“ Si interrompe quando Ben solleva un dito a zittirlo.

“Se sento ancora quella frase, ti vomito addosso. L’ectoplasma può essere sgradevole, chiedilo al tuo amico stregone.”

“Me lo hai insegnato tu, dopotutto.”

“Non ti ho insegnato ad andare in giro a farti nemici. Tutti siamo più o meno fortunati e sfortunati, ma tu hai un talento per infilarti nei guai. New York City è la città col più alto numero di supereroi al mondo, e tu cerchi sempre di fare il lavoro degli altri. E quando ti annoi, fai i team-up con gli altri eroi. Posso sapere perché ti sei sposato, allora? Per potere fare sesso legalmente quando vuoi, invece di andare in un hotel?”

“Zio Ben!!”

“Cosa? Ho fatto la guerra quando tu eri un’idea in testa di tua madre, e so come funzionano certe cose da ben prima di morire. Almeno, ti riconosco di averla smessa con le relazioni pericolose.”

“Grazie. Credo.”

“Peter, hai mai davvero pensato di ritirarti?”

“…”

“E cosa pensi che ci voglia? Che tu muoia? O che tu resti mutilato così gravemente da non potere neppure vivere una vita normale? Detesti così tanto quelle cose buone che hai fatto della tua vita?”

“È…complicato. Insomma, quando sono l’Uomo Ragno…non dico che è come uno sballo, ma mi sento vivo, mi sento bene, persino quando esco da una battaglia con più lividi di un peso piuma contro Tyson. O contro Primo Carnera, scusami.”

Ben sospira. “Hai ragione: è complicato. Del resto, se fosse facile, avresti preso una decisione tanto tempo fa. Ogni volta che ci vediamo, spero che tu sia maturato un po’ in tale senso, ma vedo che sei peggio di un gattopardo.”

Peter si morde il labbro inferiore, prima di dire, “Non posso lasciare così! Ormai ho tanti di quei nemici che—“

“Lo stai rifacendo.”

“Cosa?”

“La web-gallery. La ragnatela.” Effettivamente, una parete dell’appartamento è stata sostituita dalla classica immagine dell’Uomo Ragno nel suo tradizionale costume assediato da un numero di coloriti nemici in costume, vecchi e nuovi. “Possibile che tu non riesca a usarla in un altro modo?” Ben gesticola. La ragnatela è ancora lì, ma stavolta al posto dei nemici ci sono persone amiche, vecchi e nuovi amori, che gli sorridono il loro incoraggiamento, il loro affetto, la loro fiducia.

“Non è meglio così? Se proprio vuoi essere l’Uomo Ragno, siilo per loro. Trova la forza di gestire la tua vita non dico pensando solo a te, ma in funzione di coloro che ti amano, così come loro farebbero qualunque cosa per aiutare Peter Parker. Hai un ego così smisurato da credere di potere fare tutto da solo? Sei come un medico che prende a cuore ogni singolo caso, come se ammalarsi fosse un’offesa personale al tuo onore! E quando un paziente muore…”

Le luci si accendono in sala. Il pubblico si alza in piedi ed applaude in silenzio.

Un pubblico di morti. Amici e nemici, e perfetti sconosciuti, umani e non.

Peter osserva sconsolato quei suoi ammiratori. Ben dice, “Quando un paziente muore, te lo porti dietro, il tuo bel trofeo, per dimostrare che il mondo ha sempre più bisogno di te.”

Il pubblico smette di applaudire, si siede con espressioni solenni –laddove le condizioni fisiche lo permettono. Gwen continua a tenere il collo innaturalmente piegato in avanti.

“Per esempio, quel tipo lì, in seconda fila.” Indica un uomo maciullato in modo atroce, come se gli fosse caduto addosso un palazzo. Camicia, pantaloni e cravatta sono stati trasformati in tele sanguinolente. “Peter, tu non sai nemmeno come si chiama, ma ti senti responsabile per non averlo salvato quando l’Arcano ha trasformato il palazzo dove lavorava in un blocco d’oro puro. Ora, lo capisci che qui siamo ad un passo dalla follia?”

Peter sbatte il pugno sul tavolo, spezzandolo in due. “Cerco di fare quello che posso! Una volta, zio Ben! Una volta sola che me ne sono fregato degli altri, e tu sei morto e io ho dovuto tenere insieme la famiglia!”

Zio Ben gli molla uno schiaffo, zittendolo sul colpo. Segue un silenzio costernato da una parte, furioso dall’altra.

“Sbagliato, nipote: è stata May a tenere insieme la famiglia. Tu mi hai usato come scusa per andare a sfogare la tua rabbia, lasciandola da sola fin troppe volte.” Il volto dell’uomo si raddolcisce, mentre allunga una mano a stringere la spalla del nipote.

“Non dico che non sei cresciuto, migliorato, da allora. Ma devi proprio smetterla con questo atteggiamento: non ci sei solo tu a combattere il male. E se senti il dovere di raddrizzare i torti, ricordati che il mondo può andare avanti anche se non ci sei tutti i giorni. Zia May ti vuole bene, ma vorrei tanto che tu fossi un uomo e ti curassi di più di tua moglie e di tua figlia. Vorrei che la prossima volta che ci vediamo tu possa dirmi come è stato il 4 luglio insieme a loro, un bel picnic a Central Park a vedere i fuochi artificiali. Non che sei corso su Alfa Centauri a salvare il cosmo.”

Ben si alza in piedi. Peter fa lo stesso.

“E vorrei tanto che cambiassi gusto in fatto di pubblico. Come faccio a parlarti serenamente con un set da Nightmare on Elm Street?”

Peter sospira. “Strange dice che è un’elaborazione della mia mente a livello—“

“Battuta, Peter. Rilassati, come dite voi giovani.” L’uomo si volta e va verso la porta. “L’anno prossimo, stesso posto stessa ora?”

“Contaci. E non metterti nei guai, o dovrò fare un patto con Mefisto per venire a salvarti.”

Ben fa una faccia stranita.

“Battuta, zietto.”

Il pubblico applaude.

Sipario.

 

 

L’INCONTRO

Di Valerio Pastore